Canone 2030 si pone una domanda semplice e molto complessa allo stesso tempo: quali libri italiani resteranno nel 2030, a darci conforto nell’anno in cui comincerà una piccola era glaciale? Abbiamo chiesto a dodici critici di indicarci le opere che formano un canone del presente, quelle cui si dà un valore particolare ed esemplare (si tratta di opere di narrativa con una sola escursione nella poesia), e poi, appena distaccato, abbiamo chiesto a un filosofo – il tredicesimo – di compiere la stessa operazione per la sua disciplina. Ne esce una selezione tendenziosa, a volte polemica, che comprende Tabucchi, Piperno, Pecoraro, Vinci, Saviano, Tedoldi e alcuni autori semisommersi, oltre a qualche affondo critico acuminato (su Ferrante e Lagioia). Un canone personalissimo, accanto ai mille altri che oggi si possono, legittimamente, ipotizzare. Un’idea forte di letteratura con cui confrontarci.
Canone 2030: una scommessa sulla letteratura italiana
«Anche solo ipotizzare un canone del presente è impresa rischiosa, e anzi spericolata. Un canone ha a che fare con l’estetica, con l’etica, con quanto vogliamo che resti, con il modo in cui una comunità intenda rappresentarsi. E poi: quanti autori hanno deluso ogni aspettativa dopo un esordio promettente! Quanti scrittori degli ultimi decenni variamente citati in panoramiche e sintesi letterarie sono finiti nell’oblio! A suggerire un canone del presente è il “critico militante”, che ogni volta scommette e investe su un’opera letteraria del suo tempo, e lo fa senza rete né protezione, laicamente privo di ogni garanzia».
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I “canonizzatori”
Massimo Arcangeli, Cristiano de Majo, Paolo Di Paolo, Giulio Ferroni, Francesco Longo, Giovanni Maccari, Luca Mastrantonio, Maria Nadotti, Gabriele Pedullà, Gilda Policastro, Christian Raimo, Antonio Tricomi, Alessio Vaccari.