PERCHÉ 12 APOSTATI
Esiste un pensiero critico nel nostro paese?
12 microsaggi si misurano in modo impietoso con mitologie e icone della cultura italiana, evitano la deriva di un pensiero debole, riaffermano la necessità di liberare verità da ideologia e mode.
DI COSA PARLANO I 12 APOSTATI ?
L’editoria attuale pubblica di tutto, purchè scandalistico e legato alla palpitante attualità, ma secondo Morelli non pubblicherebbe più testi disturbanti. Per Vitiello gli scrittori italiani sarebbero prigionieri fino alla autoparodia dei loro candidi narcisismi. Inclini ad assumere maschere autonobilitanti e deresponsabilizzanti secondo La Porta. Costretti a diventare cabarettisti e improbabili tuttologi nella cultura-spettacolo per avere qualche visibilità, secondo Baresani. Secondo Marchesini, gli stessi amano impegnarsi a sfornare magniloquenti opere-mondo, capolavori annunciati che simulano il tragico. Addirittura, riproporre in chiave miseramente depotenziata la eterna funzione del monstre D’Annunzio delle nostre lettere (Onofri). Diffondere, secondo la diagnosi di Giacopini, una idea midcult di letteratura come balsamo e analgesico, mentre secondo Ranieri, un immaginario plasmato dalla Finanza stringe in una complicità oscena dominanti e dominati, broker, pusher di droga e idee imbastardite. D’altra parte resta essenziale non cedere alla sfiducia nichilista in una possibile razionalità condivisa, alla retorica del pensiero programmaticamente debole, al determinismo di chi dà per scontati processi di socializzazione che svuotino per sempre l’esperienza delle persone. La poesia, linguaggio apparentemente anacronistico, rappresenta nella sua “concretezza” una preziosa resistenza alla menzogna della comunicazione, secondo Perrella. Come per Febbraro, lo scrittore deve e può ritrovare onestamente negli spazi interstiziali, e lontano dallo pseudoestremismo delle avanguardie, una vita intensamente personale. La filosofia rivive quindi non come disciplina accademico-specialistica ma come attività intellettuale e modo di essere, capacità accessibile a chiunque di distinguere il vero dal falso, per D’Agostini. L’intellettuale torna quindi a proporsi come “critico”, scettico ed eretico, inappartenente e misantropo, secondo Berardinelli. La nostra povera lingua, un po’ malandata, provincializzata, ridotta in ambiti sempre più ristretti dall’imperialismo dell’inglese e del plurilinguismo imperante rappresenta ancora l’unica patria e identità riconoscibile per chi abita in una diaspora ormai invasiva, secondo l’esiliato Samonà.