Pesci rossi in una boccia di vetro
di Francesco Ferrazzi
Cammino attorno al tavolo della sala come un pesce rosso in una boccia di vetro. È il ventisettesimo giorno di lockdown, o forse il ventiseiesimo… I giorni si assomigliano tutti da quando Conte ha chiuso la Lombardia. Sui social circola l’hashtag #stiamoacasa . La mia circolazione, invece, si è fermata – non quella sanguigna, fortunatamente.
Ma, alla faccia della pandemia, la vita deve continuare e così il mio lavoro – e di ciò vi vorrei parlare in questo blog.
Mi chiamo Francesco, ho 27 anni e sono un docente precario, almeno per il momento – non si sa mai cosa offra il futuro… speriamo che non sia un altro virus. Ad ottobre ho ricevuto la mia prima cattedra: una supplenza annuale in un istituto tecnico cittadino. Dal 26 febbraio quella cattedra si è trasferita in camera mia.
La mattina mi sveglio alle 8, per le videolezioni. Storia alle 10, in 1C: siamo nell’antica Grecia, all’età di Pericle – morto di peste: la storia si ripete. Dovrebbe saperlo bene un mio studente: è due anni che rifà la stessa classe.
Grammatica, ore 11, 1F: fisso un test per il rientro dalle vacanze. “Profe, ma che rientro , siamo a casa”, sorride uno studente; “tanto a fine anno siamo tutti promossi”, annuncia spavaldo un compagno. Io programmo comunque la verifica e improvviso una predica: “non studiate per i voti in pagella, ma per il vostro futuro”. Tutti muti. Alcuni annuiscono, altri non hanno la videocamera attiva. Una voce si leva dal buio: “Profe, oggi quando finiamo?”.
Saluto i miei alunni, chiudo il pc, mi siedo a tavola e pranzo coi miei. Ritorno alla scrivania: mi impegno a correggere compiti, a preparare materiali didattici, a scrivere… ma manca la concentrazione. Inoltre, sento un fastidioso ronzio…
Mi butto sul letto e provo a leggere un libro: niente da fare. Un articolo dice che leggere in quarantena è più difficile – non so dirvi i motivi, non sono riuscito a finirlo.
Il ronzio prosegue ma non ci sono mosche o zanzare, siamo solo ad aprile. Poi i miei piedi si muovono da soli, nervosi, e capisco: è inquietudine.
Cambio postazione. Dal letto al divano alla poltrona. Gli appartamenti non sono fatti per la quarantena. Sarebbe meglio avere tutti un giardino. Conte, per favore, inserisci una norma a riguardo nel prossimo d.l.
Le gambe fremono. Mi alzo dalla poltrona, ritorno in sala: spaziosa, ma non abbastanza. Cammino attorno al tavolo. Prego che nessuno mi veda. Procedo in circolo con i miei pensieri, che si accumulano: il soggetto da scrivere; la lezione sul Manzoni; che domande inserire nel test di grammatica? – la passeggiata diventa una camminata sostenuta; saranno davvero tutti promossi? finirà questa pandemia? si dice “il ministro” o “la ministra” Azzolina? – la camminata diventa una maratona.
Non conto i giri del tavolo, sono abbastanza da provocarmi la tachicardia. Torno al pc. Scrivo un po’. E mi calmo. Navigando su Internet scopro che le bocce di vetro sono una tortura per i pesci rossi: non danno loro punti di riferimento, è come se vivessero perennemente coi capogiri.
Ora capisco perché, quando avevo 6 anni, il mio piccolo Nemo saltò fuori dalla boccia.
